Teorie del complotto e debunker
In questi ultimi anni va molto di moda usare la dicitura “teorie del complotto”. Chi ha coniato questi termini li usa per denigrare i “complottisti” che le sostengono. Siamo perciò in presenza di una parte che accusa l’altra apostrofandola in vari modi. Questi accusatori non sono a loro volta denominati “debunker” ma siccome sono quelli che di norma sostengono teorie “ufficiali”, li chiameremo semplicemente “conformisti”.
Perciò abbiamo dei conformisti che accusano i complottisti e viceversa. I campi di scontro sono vari e ne portiamo alcuni solo alcuni:
- Origini del cristianesimo
- Teoria della Terra piatta
- Attentati dell’11 settembre
- Omicidio di J. F. Kennedy
- Validità di alcune cure mediche, come i vaccini.
Sappiamo che i nostri studi sono classificati tra quelli “non cristiani” ma non ancora complottisti. Questo ci solleva un po’ ma non ci toglie dall’idea che sulla questione va posta un po’ di chiarezza. I conformisti di solito usano appellarsi alla scienza per difendere le proprie posizioni. Meglio però sarebbe dire che si appellano ai cosiddetti “scienziati” piuttosto che alla scienza in sé stessa, e la differenza non è da poco. Le frasi che più usano nelle loro requisitorie sono: “la maggior parte degli studiosi”, “ci è concordanza tra gli scienziati”, “unanimità della posizione raggiunta a livello accademico”, e così via.
Ovviamente queste affermazioni da sole non conducono a dimostrazioni certe e adesso spieghiamo quanto siano fuorvianti.
Esistono scienze esatte e scienze sperimentali [1]. Nelle prime entrano in realtà ben poche scienze, forse solo quella matematica. La distinzione che proponiamo noi comincia da semplici esempi.
Poniamo l’equazione seguente: x+6 = 9.
Questa ha una soluzione unica data da x = 3. In pratica la matematica ci fornisce:
- Una lettura universale dei simboli usati
- La relazione tra gli elementi dell’equazione
- Il metodo per risolvere l’equazione
- Il risultato univoco che è dimostrabile praticamente subito.
Le scienze sperimentali invece non hanno a che fare con tanta semplicità e determinazione. Vi sono due casi che devono affrontare nei quali il senso dell’indagine è invertito:
- Risultato-fattori: sia dato un risultato, determinare quali sono i fattori che lo hanno causato
- Fattori-risultato: dati dei fattori, determinare il risultato atteso.
Le incognite (i fattori) nel primo caso possono essere infinite, nel secondo caso indeterminato può essere il momento, luogo e grandezza con cui il risultato si realizzerà.
Questi due esempi si concretizzano nei seguenti noti a tutti:
- dato un evento storico (11 settembre, assassinio Kennedy) determinarne i responsabili
- dato un virus, determinare la velocità del contagio, il numero di contagiati, la mortalità e il tempo di riduzione del contagio.
La cronaca dimostra che tali eventi hanno dato luogo a ipotesi e quindi teorie diverse. La differenza è che, nel primo caso (risultato-fattori), tutti gli elementi in gioco non sono modificabili in quanto già accaduti. Nel secondo caso invece, fino alla fine del contagio, entreranno in gioco elementi non predeterminati che potrebbero modificare il risultato finale.
Perché allora, visto che il primo caso è composto di elementi non modificabili, sorgono sovente “teorie” alternative a quella che dovrebbe essere l’unica che spiega l’evento?
Vi è una semplice constatazione, ovvero che gli elementi (dai fattori al risultato) sono noti solo attraverso descrizioni, le quali spesso sono o mancanti oppure parziali o addirittura false. A complicare la ricostruzione dei fatti, ovvero le relazioni tra fattori e risultato, vi è anche il punto di vista di chi li approccia, che può considerare alcune descrizioni e scartane altre.
Insomma, il primo caso giustifica da sé il fatto che possano esistere più “teorie” che spiegano i fatti accaduti.
Veniamo al secondo caso, quello fattori-risultato.
Qui siamo in mano alle competenze-abilità di chi cerca di prevedere l’andamento degli eventi. In pratica abbiamo quasi necessità di vaticinare il futuro. La scienza dovrebbe aiutarci in questo caso, ed in effetti lo fa in quasi ogni istante della nostra vita. Lo fa nel momento in cui usiamo un cellulare: pigiati dei numeri sulla tastiera dopo qualche secondo parliamo con la persona che stavamo cercando. Ma non è sempre così (e non semplicemente perché la persona cercata non risponde...).
In dinamica uno degli esempi classici di quanto difficile sia prevedere il futuro derivante dalla relazione tra elementi, è costituito dal cosiddetto “problema dei 3 corpi”. Riassunto in parole povere, dati 3 corpi soggetti all’influsso della reciproca forza gravitazionale, non è possibile determinare l’evoluzione del sistema da essi costituito se non per pochi casi specifici. Per gli altri il comportamento diverge in modo imprevedibile (caotico).
Anche nel caso fattori-risultato nasceranno delle teorie che proporranno soluzioni diverse, perché così è nella natura della conoscenza.
Tutto questo significa che la spiegazione dei fatti non può mai essere univoca e accettata unanimemente? Questa sarebbe una generalizzazione smentita, come dicevamo, quotidianamente e per quasi ogni istante della nostra vita. Ovvero noi, per il modo in cui è congegnata la Natura, viviamo con molte più certezze di quante siano le insicurezze su quello che ci può capitare. Ma perché su quello che non è determinabile optiamo per certe teorie, scartandone altre? Facciamo delle scelte, è indubbio, che sono dettate a loro volta da fattori che neanche abbiamo sotto controllo: emotività, interessi, paure.
Spieghiamoci con un esempio attinente ai nostri studi.
È possibile che un cristiano accetti di abiurare la propria religione per abbracciarne un’altra (o nessuna)? Certo, nella nostra epoca avviene in alcuni casi. Ma visto che ciò accade solo per una sparuta minoranza, questo significa che la sua religione è migliore delle altre, ovvero più “vera”?
Ricordiamoci la frase “la maggior parte degli scienziati pensa che“ con la quale si giustificano tante conclusioni in varie materie. È una frase che non andrebbe usata perché vi sono diversi casi in cui gli “scienziati” si sono sbagliati, anche quando tutti sembravano concordare nelle loro conclusioni. Eppure viene spesso adoperata per far propendere la ragione verso le teorie conservatrici. Mentre invece quelle “complottistiche” portano a proprio sostegno addirittura l’opinione di un solo studioso. Ma la frase “la maggior parte ...” è magica perché fa leva sul bisogno di ognuno di essere accettato all’interno di una comunità, di far parte di quella “maggior parte”. Davanti a tale bisogno individuale non c’è più alcuna logica che tenga nonostante spesso i preconcetti sfidino l’evidenza.
Quando vediamo nella nostra società che la gente viene indotta a credere in certe spiegazioni rispetto ad altre pensiamo che gran colpa di questa credulità sia dovuta a tutto il lavoro che le religioni hanno fatto per rendere la persona sottomessa alla fede. Una società in cui l’individuo è disposto ad accettare come unica spiegazione del dopo morte, la risurrezione del suo corpo e una nuova vita in un aldilà dove incontra la sua divinità, può far credere allo stesso individuo qualsiasi altra cosa per quanto aberrante e illogica. In pratica, quello che noi accettiamo come spiegazione non necessariamente corrisponde al vero, quanto piuttosto ad una convenienza personale basata su più elementi che vincolano il nostro pensiero fin da tempi remoti. Riconoscere i nostri lacci culturali è già un buon punto di partenza per andare incontro alla realtà e accettare spiegazioni alternative a quelle di comoda assimilazione, in quanto già radicate nella nostra educazione o nell’ambiente che ci circonda.